E' ancora utile la "sana" sculacciata?

Domani a Roma riapriranno le scuole, e genitori e figli faticheranno non poco a riprendere i ritmi dopo un periodo di vacanze. Alcuni genitori possono perdere la pazienza, e in quel caso il braccio di ferro tra un bambino e il suo genitore può finire con una sculacciata.

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Sculacciare il proprio figlio può essere un'opzione educativa?

Le ricerche nel campo della psicologia, psicoterapia e neuroscienze aiutano a rispondere a questa domanda.

In particolare le neuroscienze suggeriscono sia utile dividere il cervello in tre aree distinte: il tronco encefalico, che sostanzialmente ci tiene in vita ed è responsabile delle nostre azioni e reazioni più istintive, la corteccia cerebrale, ovvero la parte che si occupa del ragionamento, e il sistema limbico
, che funge da “collegamento” tra le altre due, attraverso le emozioni.

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I sostenitori delle sculacciate sembrano attribuire più importanza al “piccolo cervello animale” dei propri figli: “se mio figlio sa che comportarsi male lo porterà ad essere sculacciato si comporterà bene”. Ritengono che l’amore nei confronti di un figlio possa essere espresso anche attraverso una sana sculacciata, molto più efficace di qualsiasi spiegazione che sia possibile dare al bambino per “convincerlo” a comportarsi bene (ciò naturalmente è ben diverso dal tipo di educazione “con la cinta” molto diffusa sino a non molto tempo fa).

Il cervello dei bambini è di sicuro molto sensibile al contatto fisico, sa distinguere un abbraccio da una carezza o uno schiaffo senza necessità che gli venga spiegato, e capisce immediatamente che a determinati comportamenti seguono determinate reazioni del mondo circostante.

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Allora hanno ragione i genitori che sculacciano i propri figli?

Molti ricercatori, come Dan Siegel, risponderebbero che il problema sta nel fatto che il bambino che viene colpito da una figura di attaccamento entra in un mondo di caos. Questo perché quella stessa persona è quella cui si rivolgerebbe alla ricerca di conforto. Il “cervello animale”, quello di “attaco/fuga”, entra in confusione, gira a vuoto, riuscendo magari solo a trasferire il colpo ricevuto al primo malcapitato, magari il fratello o la sorella. Il comportamento violento è diventato accettabile, una delle opzioni che il bambino ha di comportarsi.

Gli psicologi chiamano questo stato del bambino “disregolazione”. I neuroni formano connessioni che la corteccia cerebrale fatica a interpretare, così il cervello è “frustrato”, e si può dis-integrare. Questa dis-integrazione è il risultato dell’impossibilità di collegare informazioni così diverse riguardo una singola persona (il genitore). Il bambino non riesce a fare previsioni circa il comportamento della mamma o del papà, che a volte consolano e a volte puniscono con violenza.

Oltretutto, quando si ripresenterà una situazione simile, il bambino non si comporterà in maniera più adattiva. Non avrà imparato nuovi modi di dare senso al mondo che lo circonda, ma solo una temporanea lezione: “se mi comporto così papà mi picchia”, e secondo i detrattori delle sculacciate questa altro non è che logica animale.

Come conseguenza di ciò il bambino può utilizzare in maniera preferenziale un tipo di pensiero semplicistico. Ciò spiegherebbe i risultati di molti studi che mostrano come bambini che vengono puniti fisicamente dai genitori avranno anche tipicamente un quoziente intellettivo più basso e peggiori risultati scolastici; avranno più possibilità di commettere crimini, soffrire di depressione, fare a botte, avere problemi di alcool e droghe. Naturalmente questi studi parlano di correlazioni, non spiegazioni.

Ci si può fare questa domanda: quando eravamo piccoli e siamo stati sculacciati per aver rubato la marmellata, abbiamo smesso di farlo?

Certo, il dibattito continuerà ancora per molti anni, ma credo che vedere la cosa da questo punto di vista possa far riflettere.

Curiosità: nelle scuole di 19 stati degli U.S.A. è consentito punire corporalmente i bambini.

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