Lo stress e il bambino
La ricercatrice Judy Cameron ha recentemente esposto il proprio punto di vista circa lo sviluppo della vita psicologica. I risultati delle sue ricerche spiegano come elevati livelli di stress nella vita del bambino possano determinare vari disturbi nella vita adulta, psicologica e non solo. Crescere in un clima di stress o addirittura violenza, soprattutto nelle fasi precoci della vita, può portare a elevati rischi di alcolismo, tossicodipendenza, depressione, ansia, problemi di obesità e addirittura a disturbi cardiaci.
Ma cosa accade a livello cerebrale?
La professoressa Cameron spiega che il bambino nasce già con miliardi di neuroni; sono le connessioni tra neuroni a divenire piú efficaci man mano che si cresce. Quelle che vengono usate meno di frequente tendono a dissolversi, portando ad esempio un ragazzo di 14 anni ad avere meno connessioni di un bimbo di 3.
Ad esempio, se leggiamo tante favole a nostro figlio rinforzeremo le connessioni cerebrali legate alla lettura e al pensiero.
Un bambino in una casa "violenta", in qualsiasi senso si intenda, vedrà le infinite possibilità che aveva al momento della nascita ridursi drasticamente man mano che cresce.
Le esperienze e l'ambiente hanno anche effetti sui sistemi neurali del movimento, del comportamento e della memoria.
Inoltre è ormai assodato che le esperienze sono in grado persino di influenzare la produzione delle proteine che interagiscono con il DNA nell'espressione genica.
E' quindi fondamentale che i genitori imparino a conoscere i propri figli, capendo come ampliare le possibilità di espressione della personalità del bambino, fungendo per esso da "guida nella scoperta del mondo".
E’ importante solo l’ambiente familiare?
In una ricerca degli anni '90 emerse che il fattore protettivo piú efficace nell'influenzare il tasso di crimini di un quartiere era il grado di "efficacia di quartiere", la disponibilità da parte delle persone di intervenire, "prendersi cura" dei bambini del quartiere (gli eventuali "futuri criminali"), insomma la coesione di quartiere, si potrebbe dire.
Questa efficacia collettiva sembrerebbe fungere da fattore protettivo.
Il dr. Earl, autore dello studio, sta ora applicando queste sue scoperte in un'iniziativa in Tanzania, dove giovani adolescenti sono impiegati come "promotori" della campagna contro l'Hiv/Aids. I risultati sembrano essere promettenti.
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