I figli non imparano dalle cattive notizie
Nel lavoro di psicoterapeuta, e soprattutto nel ruolo di psicologo scolastico, si ricevono frequentemente domande dai genitori circa il modo migliore per “convincere” i loro figli a tenere un comportamento “adeguato”. Questa domanda scaturisce spesso da una concezione educativa di vecchio stampo, che vede i ragazzi come creta alla quale dare forma, come dei contenitori nei quali mettere dentro i valori genitoriali.
È indubbio che nel rapporto genitori figli ci sia la trasmissione di ideali e valori, ma credo che il ruolo del genitore sia quello di aiutare i propri figli a “tirare fuori” quello che hanno dentro, per consentire di esprimere al meglio il loro talento e le loro potenzialità.
Sovente i genitori demonizzano i comportamenti che ritengono sbagliati o dannosi, salvo rendersi conto che tutto il loro impegno e le loro fatiche portano a scarsi risultati. Allora possono passare a "fare la voce grossa", rischiando però di sentirsi inascoltati, frustrati e arrabbiati, quando capiscono che gli sforzi cadono nel nulla. Per di più anche i loro figli potranno facilmente sentirsi nello stesso modo.
Una recente ricerca offre un esempio di cosa significhi un approccio simile all’educazione.
I ricercatori del London University College hanno chiesto a ragazzi tra i 9 ed i 26 anni quali pensano siano le probabilità di dover affrontare, nel corso della loro vita, eventi drammatici, come un incidente stradale o il cancro.
Dopo aver risposto a queste domande, ai ragazzi sono state mostrate le reali statistiche relative a quegli eventi. Successivamente i ricercatori hanno preso nota dei cambiamenti nelle loro convinzioni.
È chiaramente emerso dai risultati della ricerca come i ragazzi siano più inclini a imparare dalle “buone notizie” piuttosto che da quelle negative e spaventanti. Nello studio, sebbene i ragazzi scoprissero che le possibilità reali di dover fronteggiare gli eventi di cui sopra sono molto più alte di quanto pensassero, tendevano in qualche modo a “non tenerne conto”. Non riuscivano ad utilizzarle in maniera positiva.
Gli autori ritengono che la ragione di questi risultati sia dovuta al sentimento di “invincibilità” che hanno le persone molto giovani. Suggeriscono quindi che sia più efficace sottolineare le conseguenze positive che si possono ottenere modificando una cattiva abitudine.
Un esempio che si può fare è quello relativo al fumo. Le campagne antifumo in alcuni paesi, nei quali sono presenti immagini terribili sui pacchetti, si sono dimostrate improduttive nelle giovani generazioni. Illustrare i benefici che si possono avere smettendo di fumare, come una pelle o denti più belli, o più soldi per sé stessi, si sono rivelati al contrario molto più convincenti.
Di certo entrano poi in campo altri fattori, come la pressione all’omologazione sociale, molto sentita in particolare dagli adolescenti, o la capacità di un genitore di comunicare con il proprio figlio e di ascoltarlo, o la quantità e la qualità del tempo passato insieme, ma mi sembra che i consigli di questi ricercatori possano costituire utili strumenti per i genitori.
fonte: http://www.medicalnewstoday.com/articles/266011.phpCondividi
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