La sindrome da fatica cronica può essere curata dalla psicoterapia psicodinamica?

La sindrome da fatica cronica è un termine che descrive una costellazione di sintomi quali fatica, malessere, mialgia, debolezza, mal di testa, depressione, confusione e molti altri. È una sindrome particolarmente difficile da trattare, le cui cause sono sconosciute. Le persone che ne soffrono sono in Italia tra le 200000 e le 300000, sono prevalentemente donne tra i 20 e i 40 anni. Oltre ai sintomi, che possono essere molto gravi e impedire una vita normale, i malati si trovano spesso di fronte a un forte pregiudizio sociale. Le ipotesi sulle cause più accreditate descrivono la possibilità che si tratti di un'infezione (sono state riscontrate alterazioni nel sistema immunitario, nel metabolismo muscolare, nelle funzioni cognitive) oppure che si tratti di una vera e propria sindrome psichiatrica, nella quale la depressione si manifesta a livello somatico.

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La seconda ipotesi è stata spiegata con una diminuita capacità di regolazione psicologica e fisiologica. La causa sarebbe da attribuirsi ad un difetto della sintonizzazione tra madre e bambino (ovvero l’espressione della qualità di un sentimento in uno stato affettivo condiviso tra madre e bambino), che porta il bambino all'impossibilità di fare proprie le funzioni materne di regolazione delle tensioni. Queste persone cercano di compensare questi difetti del sé attraverso lo stabilirsi di relazioni di dipendenza da altre persone idealizzate, e si ammalano quando avvengono delle rotture in quelle relazioni.
La malattia che ne segue può allora prendere la forma di un
disordine psichiatrico, organico, o una combinazione delle due.

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Diverse linee di ricerca indagano gli effetti delle relazioni precoci nella predisposizione a tale malattia. Per citarne una tra le altre, Hofer sostiene che proprio la relazione madre-bambino abbia un impatto su molte funzioni corporee, come la regolazione del battito cardiaco, livelli enzimatici, chimica cerebrale, ritmo sonno-veglia (Hofer ha studiato nei ratti come la mamma sia in grado di regolare tutte queste funzioni attraverso il livello di latte che fornisce al proprio cucciolo). Il ricercatore sostiene che la simbiosi madre-figlio possa avere degli effetti sulla suscettibilità degli organi a future malattie. Anche eventi traumatici, quali una separazione precoce, possono avere lo stesso effetto sul sistema immunitario.

G. Taerk e W. Gnam, partendo dall’importanza della relazione madre-bambino, sostengono come la
relazione tra lo psicoterapeuta e il paziente possa servire ad aumentare la capacità dei pazienti di regolare gli stati affettivi, anche in casi di sindrome da fatica cronica. Questi autori hanno descritto la tecnica psicoterapeutica dinamica che consente, attraverso l'internalizzazione delle componenti di regolazione delle tensioni della relazione stessa, di avere un impatto sulla capacità dei pazienti di affrontare la malattia. Illustrano in particolare due terapie di circa un anno e mezzo nelle quali mettono in evidenza la possibilità per il paziente di vedere gli effetti della relazione con lo psicoterapeuta sui sintomi della fatica cronica.

In sintesi la
relazione terapeutica è ciò che permette ai pazienti di compensare i deficit nella regolazione stabilizzando e promuovendo la capacità di sviluppare strutture regolatorie che non era stato possibile sviluppare nelle relazioni precoci. Lo stabilirsi e il mantenimento di una relazione tra il paziente e lo psicoterapeuta permette al primo di "imparare" come sia possibile riparare le inevitabili rotture che avvengono in ogni relazione, facendo propria la capacità di sostenere le rotture empatiche, tanto all'interno della relazione terapeutica quanto nel mondo esterno. Le interpretazioni o le spiegazioni sono ciò che consente al paziente di dare significato e coerenza agli eventi e alle relazioni, una funzione simile a quella fornita dalla madre quando attribuisce un nome all’esperienza del bambino, consentendogli di identificarla. Diventa allora possibile riconoscere gli affetti, etichettarli e regolarli. In più questo continuo lavoro terapeutico permette lo stabilirsi di una relazione di fiducia, sia all’interno che all’esterno della terapia.

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